Introduzione
Il sottosviluppo di un popolo, in termini economici e culturali, determina l’emigrazione di parte della sua popolazione che ricerca condizioni di vita migliori. Dal punto di vista dei paesi che accolgono gli emigranti, vi è il fenomeno dell’immigrazione, con ricadute sui temi del lavoro, del multiculturalismo, dell’integrazione, della mobilità sociale e del welfare state.
La conclusione di questa tesina sarà un invito a tentare di intervenire alla radice sulle cause del sottosviluppo, riducendo lo stato di indigenza di determinate popolazioni, come auspicato da molti programmi dell’ONU, come Agenda 2030.
Il sottosviluppo
Per sottosviluppo si intende la condizione di arretratezza economica, sociale, culturale e tecnologica di uno Stato rispetto ad altri, per cui la popolazione vive gravi problemi quali la povertà diffusa e la mancanza di alcuni diritti fondamentali, inclusi quelli relativi all’istruzione, alla salute, alla partecipazione politica.
In base a questa definizione esiste uno squilibrio tra paesi più ricchi e sviluppati, le cui condizioni di vita sono prese come parametro di riferimento, e altri più svantaggiati, la cui popolazione vive al di sotto di quegli standard. A tale concezione statica degli squilibri tra Paesi del mondo se ne contrappone una più dinamica, che definisce i Paesi poveri come “Paesi in via di sviluppo” e li immagina impegnati in un percorso attivo per assicurare una migliore qualità di vita ai propri cittadini. Un’altra espressione ancora oggi molto diffusa per indicare i Paesi poveri è “Terzo Mondo”, ideata dallo studioso francese Alfred Sauvy negli anni Cinquanta del XX sec.: era l’epoca della “Guerra fredda” che vedeva la contrapposizione tra Paesi capitalisti alleati degli USA e Paesi socialisti alleati dell’URSS, definiti da Sauvy rispettivamente “primo” e “secondo mondo”, mentre tutti gli altri Paesi più poveri sfuggivano alla logica dei blocchi politico-militari delle due grandi potenze.
Gli studi più recenti sul sottosviluppo tendono comunque a evidenziare le molte differenze che esistono tra i paesi in via sviluppo a seconda che si consideri un aspetto oppure un altro della loro arretratezza rispetto ai Paesi ricchi. Ad esempio, un Paese povero può avere un sistema di istruzione molto avanzato e delle tradizioni democratiche, a dispetto della sua condizione di arretratezza. È altrettanto ovvio che persistono condizioni di miseria ed emarginazione anche in aree disagiate di Paesi ricchi, come ad es. le periferie urbane di grandi città nordamericane ed europee.
Le cause del sottosviluppo possono essere:
- NATURALI: Nei paesi in cui l’agricoltura è ancora tradizionale, poco meccanizzata e spesso basata su un solo prodotto, le oscillazioni del mercato causano gravi crisi economiche e rendono questi Stati poco competitivi sul piano internazionale.
- SCARSA INDUSTRIALIZZAZIONE: l’industrializzazione quasi assente è spesso legata a una scarsa cultura imprenditoriale e a una forte carenza di infrastrutture moderne (ferrovie, strade, porti, pressoché inutili in un’economia agricola).
- COLONIALISMO: L’occupazione e lo sfruttamento territoriali ai danni dei popoli ritenuti arretrati.
L’indicatore di sviluppo oggi più utilizzato in economia è il PIL – pro capite ovvero un indicatore utilizzato per esprimere il livello di ricchezza per abitante prodotto da un territorio in un determinato periodo. Sono i dati statistici relativi allo sviluppo economico e alla politica monetaria di un Paese, nonché i parametri che valutano il livello della “qualità di vita” della società, con particolare attenzione ad aspetti come l’istruzione, la salute, la cultura.
Un’altra caratteristica tipica del sottosviluppo è la scarsa capillarità dell’istruzione.
La percentuale della popolazione in età scolare in grado di leggere e scrivere, nei Paesi più sviluppati arriva di solito al 97-99%, mentre nei Paesi più poveri è inferiore al 50-60%. Nel mondo attuale l’istruzione elementare è più diffusa di quanto non lo sia mai stata in passato, eppure la scuola è ancora un lusso che molti bambini dei Paesi poveri non si possono permettere, sia per l’assenza di strutture scolastiche e di insegnanti, sia per le politiche restrittive dei governi in carica o semplicemente per la povertà diffusa.
Un lato particolarmente negativo del sottosviluppo è l’indebitamento dei Paesi poveri, fenomeno che iniziò a manifestarsi negli anni Settanta come tentativo di favorire lo sviluppo e l’industrializzazione di molte nazioni africane e asiatiche. Il risultato fu l’accumularsi di un enorme debito verso l’estero, destinato a crescere negli anni per il pagamento di alti interessi e che finisce per “strangolare” economie fragili e spesso prive di risorse interne, impedendo un reale sviluppo e costringendo la popolazione a vivere nella povertà e nella privazione per l’incapacità finanziaria dello Stato di provvedere alle sue necessità.
A partire dal 1996 il fondo monetario internazionale e la banca mondiale hanno promosso l’iniziativa denominata Heavily Indebted Poor Countries volta a fornire aiuti finanziari ai paesi in via sviluppo più pesantemente indebitati con l’estero e a far sì che il livello del loro indebitamento scenda a livelli sostenibili, arrivando anche alla totale o parziale cancellazione del debito.
L’emigrazione
Uno dei fenomeni tipici del sottosviluppo di una Nazione o di parte di essa è l’emigrazione.
L’emigrazione è definita come il trasferimento permanente o spostamento temporaneo di persone in un paese diverso da quello d’origine. Il fenomeno, ovviamente, può essere visto anche dal punto di vista, del paese che accoglie, chiamandosi però immigrazione. L’immigrazione interessa l’intero pianeta benché gli stati di partenza e arrivo siano mutati col susseguirsi delle epoche storiche. Come ogni fenomeno anche l’immigrazione è caratterizzata da molteplici motivazioni, una di queste è la povertà; spesso emigrare in un altro paese rappresenta spesso l’unica via di uscita ad una vita povera, un modo per migliorare le proprie condizioni di vita cercando un lavoro da svolgere all’interno del paese ospitante; un altro motivo è quello politico, dittature, persecuzioni, guerre e genocidi spingono le famiglie a cercare la libertà al di fuori del proprio paese.
I nuovi flussi di profughi e migranti, soprattutto dal Medio Oriente e dall’Africa hanno messo in crisi i già sperimentati modelli di integrazione adottati da anni in Paesi come la Francia, l’Inghilterra e la Germania, e rispondenti alle loro differenti tradizioni culturali e giuridico-istituzionali.
Si tratta fondamentalmente di due modelli: quello «assimilazionista» (dove i migranti devono conformarsi il più possibile alla cultura della società ospitante, mettendo in atto i processi di descolarizzazione e di cancellazione delle culture d’origine) e quello «multiculturalista» (l’idea si fonda nel valorizzare le diverse culture riconoscendone la dignità e il valore. Nella comunità nazionale d’accoglienza, grande importanza viene riconosciuta alle singole comunità etniche). In Italia, dove il fenomeno dell’immigrazione è piuttosto recente, il modello d’integrazione è ancora in via di costruzione. In Italia, un ritardo di comprensione, ha rallentato l’elaborazione di un modello di politica migratoria, lasciando spazio per contro ad un altalenarsi di politiche incerte, con una forte delega agli enti locali e istituzioni religiose e laiche della società civile. La via da seguire potrebbe essere quella di un modello interculturale fondato sull’incontro tra la nostra cultura e quella dei nuovi arrivati.
I fenomeni migratori non sono necessariamente negativi
“Le migrazioni sono la più antica azione di contrasto alla povertà” (John Kenneth Galbraith, 2012)
Un migrante integrato e che lavora, contribuisce alla crescita sia dello Stato che lo accoglie sia del suo paese d’origine, in quando invia denaro alla sua famiglia d’origine. Inoltre un migrante che dovesse tornare nel suo Stato, porta in valigia anche quello che ha imparato all’estero.
Bisogna comunque affrontare le cause alla radice della migrazione, ovvero gli aspetti del sottosviluppo di una Nazione, come i cambiamenti climatici, la povertà, la fame, i conflitti, per raggiungere un obiettivo grande ma fondamentale, ovvero “Fame Zero” in ogni parte del mondo.
In questo senso, gli “obiettivi per lo sviluppo sostenibile” presenti in “Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile” (un programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità sottoscritto nel settembre 2015 dai governi dei 193 Paesi membri dell’ONU) sono dei punti di riferimento importanti per tentare di governare efficacemente i fenomeni del sottosviluppo e quelli migratori.