Che cosa rende una persona intelligente?

Le teorie classiche dell’intelligenza

Quando ci si pone la domanda “Che cosa rende una persona intelligente?” e cerchiamo una risposta nelle tradizionali teorie sull’intelligenza spesso troviamo che queste fanno riferimento alla capacità di tale persona di risolvere i problemi, alluso della logica ed al pensiero critico.

Il limite di tali teorie consiste nell’aver dato un peso eccessivo a quelle abilità misurabili con i test “carta e matita” tradizionali, trascurando purtroppo diverse abilità che sono fondamentali per la definizione del costrutto di intelligenza (come ad esempio la capacità di risoluzione di problemi concreti propri degli specifici ambienti sociali e culturali in cui i diversi individui operano).

Nella migliore delle ipotesi, insomma, i test tradizionali si concentrano solo su alcuni aspetti dell’intelligenza di un individuo. Si noti come Albert Einstein e Thomas Edison, due degli esempi più famosi nella storia di menti brillanti, avessero prestazioni abbastanza scadenti nei test tradizionali in particolare ed a scuola in generale.

L’influenza dei fattori ambientali

In uno studio interessante, anche se controverso, condotto nel corso del 1960 dal biologo Marion Diamond della University of California, Berkeley, due gruppi di ratti sono stati cresciuti in ambienti diversi. Un gruppo ha avuto a disposizione giocattoli, compagni di gioco ed un ambiente pulito e fresco. Il secondo gruppo è stato posto in una condizione di isolamento, all’interno di un ambiente angusto e privo di stimoli di alcun tipo. Dopo diverse settimane, i topi del primo gruppo hanno mostrato uno sviluppo cerebrale di gran lunga maggiore rispetto ai ratti del secondo gruppo. Risultati simili sono stati ripetuti con i gatti, scimmie e successivamente con gli esseri umani.

Ciò ha mostrato come un ambiente stimolante sia fondamentale per lo sviluppo mentale e cozza con altri aspetti proposti dalle teorie tradizionali, dalle quali è spesso emersa una visione dell’intelligenza come capacità monolitica, unica se non addirittura innata (vedi ad esempio Galton).

In aperto contrasto con tale visione, Vygotskij sostenne come le funzioni cognitive superiori fossero il risultato dell’interazione dell’individuo con gli strumenti fornitigli dall’ambiente sociale. Per l’autore era importante valutare non solo ciò che l’individuo sapesse fare, ma anche cosa potrebbe fare se adeguatamente assistito. In base alla sua nozione di “zona di sviluppo prossimale” due individui con pari quoziente intellettivo in realtà non sono intellettivamente uguali, se presentano differenti capacità di valersi dell’esperienza. Dal contributo di questo autore deriva implicitamente un’importante critica ai normali test di intelligenza, e cioè che essi rappresentano una gamma molto particolare di situazioni (prevalentemente prove con carta e matita riferite a piccoli compiti) e le propongono in contesti di laboratorio che sono atipici e avulsi dalla realtà. Secondo questa critica le abilità dovrebbero essere valutate nella loro attualizzazione con problemi concreti, collocati in situazioni reali e nell’interazione con le altre persone.

Un altro limite messo in evidenza riguarda il fatto che i test tipici di intelligenza riflettono le caratteristiche culturali, i modelli ed i valori di chi li ha costruiti, normalmente persone con elevata istruzione nella società occidentale. Questa critica appare particolarmente significativa in considerazione del fatto che i test di intelligenza sono stati utilizzati per valutare individui di altre culture, guarda caso mettendo spesso in luce in essi livelli più bassi di intelligenza. Si è messo in particolare l’accento sul ruolo del linguaggio e dell’apprendimento. Bambini che non conoscono bene la lingua o che non hanno avuto esperienze con le situazioni tipiche presenti nei test, sono sicuramente svantaggiati e possono risultare meno intelligenti di quanto effettivamente sono (si è cercato di ovviare a questo problema creando dei test il più possibile culture free, cioè esenti da condizionamenti culturali).

L’approccio contestuale

Un approccio teorico che ha condotto ad importanti innovazioni rispetto al modo di concepire il comportamento intelligente (dando rilievo al ruolo dell’ambiente di vita) è la teoria contestuale di Stenberg.

Secondo l’autore l’intelligenza “è un’attività mentale diretta alla realizzazione di un adattamento, di una trasformazione e di una modellizzazione […] all’ambiente esterno reale, che ha importanza per la vita del soggetto” (Stenberg, 1985).  In quest’ottica i soggetti più dotati sono quelli che riescono di più a modificare il proprio ambiente e ad affrontare compiti nuovi, probabilmente attraverso una combinazione di processi automatizzati e di adattamento alle novità.

Ciascuna cultura, per ragioni legate all’evoluzione, tende ad attribuire più peso ad una componente piuttosto che ad un’altra, pur riconoscendo l’importanza di tutte le componenti nella definizione di intelligenza.

È per questa ragione che in uno specifico contesto culturale, alcuni comportamenti vengono definiti intelligenti, mentre altri, considerati intelligenti in altre culture, vengono del tutto sottovalutati. Ad esempio nella cultura polinesiana si considera necessaria per la sopravvivenza l’abilità di orientamento e navigazione spaziale, per cui sono considerati intelligenti gli individui che sono dotati di tali caratteristiche.

Le intelligenze multiple

Un’altra concezione abbastanza complessa che mette in evidenza l’importanza dei contesti dirigendoci verso una visione pluralistica dell’intelligenza (in contrasto con le teorie più tradizionali), è rappresentata dalla teoria delle intelligenze multiple di Howard Gardner.

Egli ridefinisce l’intelligenza come “un potenziale psicobiologico volto a risolvere problemi o a dar forma a prodotti che hanno valore in almeno un contesto culturale” (Gardner, 1983). Gardner critica le concezioni tradizionali dell’intelligenza come razionalità, logica, conoscenza, ma anche le concezioni dell’intelligenza come capacità unica. Egli ipotizza che l’intelligenza umana si componga di un certo numero di facoltà mentali relativamente autonome fra loro, ciascuna dipendente da una diversa area del cervello. Tali abilità devono essere viste in rapporto all’ambiente culturale nel senso che ogni contesto dà risalto e sostegno a particolari talenti piuttosto che ad altri.

Gardner arrivò ad individuare nel 1983 sette distinte forme di intelligenza (linguistica, musicale, logico-matematica, spaziale, corporeo-cinestesica, interpersonale e intrapersonale, portate ad otto nel 1995 (naturalistica). In questi ultimi anni Gardner ha poi intrapreso lo studio di una nona intelligenza specifica, quella esistenziale, che riguarda il desiderio di trascendere l’esistenza umana, di riflettere sul fine ultimo della nostra vita.

L’intelligenza linguistico-verbale ha a che fare con una profonda sensibilità rispetto al significato delle parole, ai ritmi e ai suoni dell’eloquio (Gardner, 1983). Gli studenti che spiccano rispetto a questa forma di intelligenza imparano attraverso l’ascolto, la lettura e la verbalizzazione. Si tratta di abilità altamente sviluppate in oratori, poeti, drammaturghi, editori, insegnanti di lingua e giornalisti.

L’intelligenza musicale rappresenta l’abilità nella composizione e nell’ascolto dei modelli musicali. E’ la sensibilità per la melodia, il ritmo, per la musicalità nel suo complesso. Diversi suoni, toni e ritmi possono avere un effetto visibile su coloro che spiccano in questo tipo di abilità (ad esempio, è possibile vedere un cambiamento nelle espressioni facciali, nei movimenti del corpo, o nelle risposte emotive).

L’intelligenza logico-matematica permette di operare su oggetti e concetti, ragionare in modo scientifico sui fatti, cogliere le relazioni ed i principi ad essi sottesi. Questa intelligenza è molto sviluppata in matematici, commercialisti, statistici, scienziati, programmatori di computer.

Gli studenti che presentano tali abilità in modo spiccato sono abili a classificare e categorizzare, presentano una buona capacità di astrazione, di cogliere i nessi fra i vari elementi della realtà. A loro piace sperimentare, risolvere enigmi. In un contesto ludico prediligono ad esempio giochi di strategia.

L’intelligenza visuo-spaziale riguarda la capacità di percepire il mondo con precisione ma anche di eseguire trasformazioni rispetto alle proprie percezioni iniziali. Vuol dire essere capaci di ricreare aspetti della propria esperienza visiva anche in assenza di quegli stimoli fisici che hanno dato luogo alle percezioni iniziali. È molto sviluppata nei designer, architetti, artisti, stilisti e inventori. Gli studenti con un alto grado di intelligenza spaziale pensano facilmente per immagini e sono facilitati da supporti quali diapositive, video, diagrammi, mappe, grafici.

Tuttavia l’autore sottolinea come l’intelligenza spaziale non sia unicamente in correlazione con la nostra esperienza visiva, nel senso che è possibile determinare uno sviluppo di tale abilità anche attraverso l’utilizzo di altri canali sensoriali.

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L’intelligenza corporeo-cinestesica fa riferimento all’abilità di utilizzare il corpo per esprimere idee e sentimenti e alla capacità di manipolare con disinvoltura e sensibilità determinati oggetti. In tutte queste abilità eccellono individui come danzatori, mimi, atleti, artigiani, strumentisti musicali ecc.

Gli studenti che presentano in modo spiccato tali abilità di solito prediligono i giochi di ruolo, comunicano bene attraverso il linguaggio del corpo e altri gesti fisici.

L’intelligenza intrapersonale riguarda la capacità di avere un accesso alla propria vita affettiva, con la possibilità di discriminare le emozioni e classificarle nonché di attingere ad esse come mezzo per capire e guidare il proprio comportamento (Gardner, 1998). Riguarda inoltre la capacità di regolare le proprie emozioni, in particolare quelle negative.

Gli studenti con un elevata intelligenza intrapersonale sembrano essere auto-motivanti e tendono ad imparare più facilmente attraverso lo studio indipendente e progetti individualizzati.

Sono auto-riflessivi e tendono ad essere in sintonia con i loro sentimenti, valori, credenze e processi di pensiero. Essi sono spesso portatori di saggezza e conoscenza creativa, sono altamente intuitivi e ciò che portano a termine è spesso animato da una motivazione intrinseca.

L’intelligenza interpersonale si riferisce alla capacità di percepire e distinguere le intenzioni, le motivazioni ed i sentimenti degli altri. Questa intelligenza può comprendere la sensibilità alle espressioni facciali, alla voce e ai gesti altrui nonché la capacità di rispondere efficacemente a tali segnali.

In generale, essa tende a coincidere con ciò che viene definita intelligenza sociale: la capacità cioè di comunicare efficacemente nonché di regolare i propri stati d’animo in conseguenza degli altri. Gli studenti con un alto grado di intelligenza interpersonale sono portati a socializzare e prediligono quei processi di apprendimento che richiedono interazione e cooperazione.

Sono inoltre abili nella gestione dei conflitti, avendo buone capacità di negoziazione.

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L’intelligenza naturalistica implica la conoscenza dell’ambiente e la capacità di identificare e classificare piante, animali ed elementi naturali sulla base di questa conoscenza. È altamente sviluppata in archeologi, addestratori di animali, veterinari, biologi, zoologi, ambientalisti ecc.

Gli studenti che hanno un alto grado di intelligenza naturalistica sembrano imparare più facilmente attraverso progetti e attività ambientali e spiccano in quegli ambiti che riguardano lo studio della natura.

La teoria delle intelligenze multiple ha dato un grande contributo all’ampliamento del concetto di intelligenza, dapprima intesa esclusivamente in termini di abilità logiche, linguistiche e spaziali (come evidenziato dalla tradizione psicometrica e dagli strumenti di misura da essa prodotti).

Tale teoria suggerisce due fondamentali considerazioni. In primo luogo ogni essere umano presenta, seppur in gradazione diversa, tutte le forme di intelligenza fin qui postulate.

E’ infatti estremamente difficile individuare una intelligenza espressa in forma pura. In secondo luogo si verrebbe così a determinare un profilo comportamentale unico dell’essere umano, che, in virtù delle proprie debolezze o potenzialità, opera nel suo ambiente in modo assolutamente originale.

Tali assunti richiedono, secondo Gardner, la messa a punto di più adeguati strumenti per la valutazione dell’intelligenza, in grado di misurare le prestazioni degli individui in contesti ecologicamente validi.

I test standardizzati, infatti, pur fornendo una stima adeguata del potenziale scolastico, nulla ci dicono sui molteplici aspetti che compongono l’intelligenza umana. Secondo Gardner (1998) “i punteggi ottenuti mediante la misurazione del QI contano al massimo per il 20% nel conseguimento del successo” futuro.

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